Liberalizzazione degli orari nel commercio: tutti fulminati sulla via di Damasco

Roma -

Il decreto del governo Monti, noto come “salva Italia”, come da noi profetizzato, sta producendo i suoi effetti nefasti ed evidenziando le sue contraddizioni ma ora sembra che la nostra posizione sia divenuta popolare, Amministratori Locali, Confesercenti, sindacati confederali e finanche la Conferenza Episcopale Italiana si dichiarano contrari alle aperture domenicali e festive, fulminati sulla via di Damasco?

 

Ovviamente no, come sempre i lavoratori sono strumento di chi in realtà è stato il vero carnefice. La politica, il sindacato complice ed i padroni, ogniuno per il proprio tornaconto e nessuno per la tutela dei lavoratori. Ora tutti fanno dichiarazioni roboanti e campagne mediatico/politiche in difesa del rispetto del riposo domenicale e festivo ma ogniuno di essi è stato parte del problema e non parte della soluzione, allora perchè questa inversione di tendenza?

 

Gli amministratori locali hanno le elezioni alle porte e i voti dei lavoratori sono appetiti quindi, mentre devastano il territorio concedendo ai palazzinari la costruzione di centri commerciali che si riempiranno di cittadini con un reddito ormai insufficiente per acquistare alcunchè, mentre concedono le autorizzazioni all'apertura senza curarsi dei lavoratori del commercio e delle loro famiglie, sbandierano dichiarazioni di facciata dimenticando che il decreto “salva Italia” è stato votato in Parlamento praticamente da tutti i partiti e salutato come la panacea di tutti i mali, come la risoluzione al problema occupazionale ed alla contrazione dei consumi.

 

Confesercenti, accompagnata dalla strana alleanza della Conferenza Episcopale Italiana, ha lanciato la campagna "Libera la Domenica" ricordandoci che "gli eccessi di liberalizzazioni penalizzano i piccoli negozi, costringendo imprenditori e lavoratori a sacrificare valori importanti come la famiglia", in realtà quello che muove l'associazione datoriale è il rischio concreto di soccombere alle multinazionali della GDO. Le condizioni di chi lavora nei piccoli esercizi commerciali le conosciamo bene e questa finta levata di scudi in difesa dei lavoratori risulta irritante oltre che poco credibile. La CEI ovviamente accompagna il tutto con la speranza di recuperare qualche "anima" per la messa domenicale ormai pressochè deserta.

 

La posizione più contraddittoria, però, è quella evidenziata dalle confederazioni sindacali concertative che raccolgono firme con la mano destra e contrattano le aperture con la mano sinistra. Assistiamo a campagne mediatiche, creazione di jingle ad hoc e moltissime dichiarazioni di facciata, ma in realtà i sindacati confederali hanno da tempo svenduto le vite dei lavoratori del commercio sull’altare dello shopping ed hanno nei fatti accompagnato i processi di liberalizzazione degli orari rendendo impossibile l’esistenza dei lavoratori di queste nuove “fabbriche metropolitane”.

 

La posizione di USB Commercio, espressa all'indomani del decreto sulle liberalizzazioni, non è mai mutata. La possibilità degli esercizi commerciali e dei grandi ipermercati di tenere aperto sempre, anche durante le domeniche e i festivi, è stata recepita subito da tutti i soggetti interessati, creando un vantaggio e una comodità apparenti per “l’homo consumens” e, nel contempo, gravissimi problemi per i lavoratori, che non hanno più tempo per se stessi e per le proprie famiglie, aggiungendo un ennesimo tassello al puzzle di precarietà, basso salario, difficoltà nella vita di relazione e degli ormai pochissimi diritti per oltre due milioni addetti del settore.

 

La crisi del commercio non ha nessun collegamento con le aperture e la liberalizzazione degli orari ma nasce dalla mancanza di reddito diretto ed indiretto dei consumatori. Le mirabolanti promesse di crescita occupazionale all’indomani del decreto Monti si stanno traducendo oggi in chiusure di migliaia di imprese piccole e grandi, che non reggono la concorrenza, e le nuove assunzioni nella Grande Distribuzione Organizzata sono rimaste lettera morta e si sono tradotte in aumento di carichi di lavoro degli occupati e già precarizzati lavoratori dei centri commerciali.

 

Il suddetto aumento dei carichi di lavoro e quello del nastro orario per far fronte alle liberalizzazioni non si è tradotto in stabilizzazione dei rapporti precari o in crescita salariale. I lavoratori della GDO hanno visto aumentare la flessibilità e la precarietà e nel contempo le aziende ed i sindacati concertativi hanno “limato” le maggiorazioni festive e domenicali attraverso macchiavellici accordi a perdere. Insomma, lavorare di più per guadagnare di meno.

 

In un paese che fa i suoi continui richiami alla “sacralità” della famiglia e dove i servizi pubblici non sono attivi spesso neanche il sabato, ed in un settore dove l'80% degli occupati sono di sesso femminile, si evidenzia una forte contraddizione. Come può una donna che lavora nel commercio - dove la flessibilità è un elemento imprescindibile e straordinari, festivi obbligatori, orari che cambiano ogni giorno, ferie non concordate sono la normalità - rendere conciliabili i tempi di vita e di cura della famiglia con il proprio lavoro?

 

Finanche il problema del reddito ne esce sconfitto. Le grandi centrali di acquisto che riforniscono le catene della Grande Distribuzione Organizzata dovrebbero fungere da strumento di «razionalizzazione e programmazione delle forniture», in realtà sono un vero e proprio cartello che scarica i suoi effetti sui prezzi al consumo. Le offerte reclamizzate dai volantini pubblicitari danno un grande risalto a prodotti “civetta” per indurre il consumatore a visitare fisicamente il punto vendita e ad effettuare altri acquisti; il risultato finale spesso è molto meno conveniente di quanto si possa immaginare.

 

Per ultimo torniamo “all’homo consumens”. I centri commerciali hanno ridisegnato, in pochi anni, i costumi sociali, le condizioni di lavoro e la struttura architettonica della nostre città. Hanno di fatto sostituito le piazze attraverso le quali si connetteva il tessuto sociale di un quartiere disgregando le relazioni umane e la protezione sociale che una piazza favorisce. Nell’antica Grecia la piazza – Agorà - era il luogo simbolo della democrazia del paese, dove si riuniva l’assemblea della polis per discutere e prendere le decisioni politiche. I centri commerciali sostituiscono il senso delle piazze con una traduzione consumistica priva di qualsiasi scambio umano che non sia mediato dal denaro. Si tratta di autentici non luoghi dove i soggetti sociali si incontrano senza interagire, dove il prossimo è visto come colui che ti sottrae un parcheggio o ti scavalca nella fila alla cassa, dove vigono regole non scritte che trasformano questi ecomostri in strane “repubbliche” del consumo, video sorvegliate, transennate, con guardie private armate ad ogni angolo e dove ogni cittadino può ingannevolmente sentirsi , ricco, consumatore ma dove in realtà è prigioniero inconsapevole.

 

Riprendiamoci le nostre vite, di lavoratori e di cittadini, trascorriamo le feste favorendo la socialità, il riposo, la riflessione, la cultura, lo sport, facciamolo creando le giuste alleanze tra “consumatore inconsapevole” e “lavoratore consumato”. Il modello sociale che ci vogliono imporre attraverso lo sfarzo e le luci dei Centri Commerciali è soltanto un inganno in favore dei profitti delle grandi multinazionali del commercio e della lega delle cooperative ed un danno per i lavoratori, i consumatori e la società.