Lazio: la piattaforma regionale USB per uscire dalla crisi economica con il rilancio del pubblico e la dignità del lavoro

Roma -

RILANCIO DELL’ECONOMIA PUBBLICA E DIGNITÀ DEL LAVORO

COSÌ SI PUÒ USCIRE DALLA CRISI ECONOMICA NEL LAZIO

                                                     

L’emergenza Coronavirus oltre alle sue immediate e urgenti ricadute sanitarie sta provocando, nei suoi effetti indiretti, una crisi economica inedita che è soltanto ai suoi inizi e che è destinata a prolungarsi per un periodo verosimilmente lungo. La dimensione economica della crisi in atto, in Europa e in Italia, si manifesta in una fase particolarmente delicata della nostra storia. A cavallo tra gli anni ’80 e ’90 dello scorso secolo dopo il precedente ciclo storico di conquiste sociali, riduzione delle disuguaglianze e promozione dei diritti e degli interessi dei lavoratori e delle classi subalterne, si è verificata una brusca e incisiva inversione di tendenza nel conflitto per la distribuzione della ricchezza. Caduta della quota salari sul prodotto nazionale, aumento della disoccupazione, crescita continua delle disuguaglianze tra ricchi e poveri sono stati gli eventi fondamentali che hanno segnato la storia sociale dell’ultimo trentennio. Lo strumento più potente adottato per provocare questo processo di redistribuzione regressiva delle risorse sono state le politiche economiche di austerità di ispirazione neo-liberista. Riduzione drastica della presenza dello Stato nell’economia (meno Stato + mercato) tramite privatizzazioni e smantellamento dello Stato sociale (scuola, sanità, pensioni); carico fiscale sempre più spostato dai ricchi verso la classe media e i poveri e dal capitale al lavoro; riduzione dei salari reali; deregolamentazione e liberalizzazione dei mercati. Il progetto di integrazione europea con la creazione di un quadro di rigorosa disciplina di finanza pubblica ha sancito l’impossibilità di praticare politiche economiche espansive favorevoli alla crescita e alla occupazione. Si arriva così in queste condizioni al 2020, con le ossa rotte, con una struttura produttiva gravemente indebolita, un tasso di disoccupazione cronicamente superiore al 10% e con diritti sociali e del lavoro pesantemente compromessi e sottrazione di strumenti di autodifesa e rivendicazione per i lavoratori. La mai risolta crisi economica scoppiata nel 2008 sfocia così tragicamente nella crisi economica del 2020 scatenata dalla contingenza della grave emergenza sanitaria. Anni di dura austerità hanno piegato nel frattempo non solo la capacità finanziaria degli Stati, ma a pioggia quella di tutti gli enti locali, Regioni, Provincie, Comuni. Si arriva dunque, oggi, ad affrontare l’attuale crisi a tutti i livelli territoriali in condizioni economiche disastrose e con strumenti resi limitati e scarsamente efficaci dai trattati europei che impongono la disciplina di bilancio.

Contro ogni apparenza e retorica la reazione alla crisi economica non sembra segnare un reale cambiamento di prospettiva delle politiche economiche, e appaiono limitati, rispetto alle effettive necessità, gli sforzi finanziari adottati a livello nazionale, appena sufficienti a lenire il disastro ma molto lontani dal promuovere un vero rilancio economico.

Come USB da anni lottiamo - in un contesto così difficile - per fronteggiare gli attacchi al mondo del lavoro e allo Stato sociale a livello nazionale e a livello territoriale.

Le politiche adottate dalla Regione Lazio negli ultimi anni sono state coerenti con il quadro nazionale: privatizzazioni, tagli di spesa e perdita di occupazione (in termini numerici l’aumento del tasso di disoccupazione dal 6,4% del 2007 all’11,1% del 2018, si è tradotto in un incremento del numero di persone in cerca di occupazione dalle 145.000 del 2007 alle 298.618 del 2018, con un picco di 329.018 nel 2014 (Fonte Rapporto sull’andamento del mercato del lavoro -  Osservatorio sul mercato del lavoro  - Regione Lazio).

Nella nostra regione l’organizzazione sindacale USB è stata protagonista di numerose vertenze che hanno sempre avuto come denominatore la difesa delle fasce sociali più deboli e meno tutelate. Oggi più di ieri – davanti alla crisi lacerante che ha investito il tessuto produttivo e messo in evidenza la criticità del sistema sanitario, frutto di politiche di tagli, c’è l’esigenza di avviare un confronto serio sugli strumenti che la Regione può mettere in campo per dare risposte concrete. A partire da sanità, trasporti, gestione rifiuti, occupazione e reddito USB rivendica il diritto di stare dentro il confronto e nell’interlocuzione con i decisori politici ed economici a livello regionale.

 

IL LAVORO NEL LAZIO

Partendo da una breve analisi dell’andamento occupazionale dell’ultimo decennio all’interno della vasta area laziale, i dati che emergono ci restituiscono la fotografia di un territorio con una notevole frammentazione del mondo del lavoro, che trasversalmente ha interessato tutti i settori, dal lavoro pubblico al privato. Frammentazione e processi di deindustrializzazione caratterizzano alcune aree della nostra regione senza nessun piano di riconversione industriale e ambientale, e il territorio interessato non solo presenta spetti di desertificazione e degrado, ma anche numeri altissimi di disoccupati, inoccupati ed inattivi. Lavoratori aggrappati agli ammortizzatori sociali senza nessun orizzonte possibile di uscita da una condizione che li spinge – o già li trattiene – in una concreta indigenza ben piu’ pesante di quella che le statistiche qualificano come poverta’.

 

Nel settore del lavoro pubblico, il blocco delle assunzioni imposto dal Ministro Brunetta nel 2009, di fatto ha impedito il turn over di migliaia di risorse fuoriuscite per raggiungimento dell’età pensionabile, causando un grave sottorganico strutturale in gran parte dei servizi e degli uffici pubblici.

La Regione Lazio include  378 COMUNI, 47 SEDI REGIONALI, DECINE DI SEDI PROVINCIALI,con  decine di migliaia di dipendenti che garantiscono più di un servizio essenziale alla cittadinanza, dagli uffici anagrafici, agli uffici tecnici, dagli assistenti sociali ai giardinieri, dalla polizia locale al sistema educativo per i bambini da 0 a 6 anni;  con il blocco delle assunzioni c’è una carenza di organico del 25/30%, in tantissimi comuni la macchina amministrativa va avanti spesso con l’impiego di lavoratori LSU impiegati al di sopra delle loro mansioni e senza alcuna garanzia di assunzione e di riconoscimento della propria carriera contributiva. Questo il frutto del blocco delle assunzioni e della legge sul pareggio di bilancio, che va assolutamente superata.

Nel Lazio sono circa 300 i dipendenti LSU ancora in attesa della stabilizzazione, nonostante ci siano tutte le condizioni per l’assunzione, anche in virtù di un decreto della Regione Lazio inapplicato da Sindaci e Amministratori a dir poco incapaci, che ritardano spesso volontariamente la stabilizzazione di questi lavoratori per meri interessi elettorali.

La pandemia del Covid-19 a messo a nudo tutti i limiti del sistema degli appalti e tutte le inadeguatezza strutturali dei posti di lavoro negli enti locali, e oggi alla ripresa la confusione ed il rischio di nuovi contagi per inosservanza delle misure di sicurezza è molto alto come dimostrano tutt’oggi i casi di contagio di dipendenti pubblici all’interno dei posti di lavoro.

A questo occorre aggiungere il ricorso ad una massiccia esternalizzazione che ha determinato un peggioramento della qualità del lavoro, sia per i dipendenti pubblici che per i lavoratori in appalto, oltre che dei servizi offerti alla cittadinanza.

 

Il ricorso ai cosiddetti ‘contratti atipici’ ha contribuito ad aumentare la forbice della diseguaglianza e della disgregazione, oltre ad alimentare l’instabilità occupazionale, il lavoro sommerso e lo sfruttamento della manodopera attraverso l’utilizzo dei contratti pirata.

 

La continua espulsione dal lavoro degli over 45, spesso ritenuti non più appetibili per stare al passo con la velocità mutativa del mercato, troppo vecchi per il lavoro agile, troppo costosi sotto il profilo retributivo e contributivo ma anche troppo giovani per la pensione, rischia di disperdere molteplici professionalità maturate in anni di esperienza sul campo.

 

Dato non poco rilevante è l’andamento dell’occupazione femminile che resta ancorato principalmente al lavoro di cura e assistenza, oltre che assumere un carattere intermittente e inversamente proporzionale all’occupazione maschile. Occorre quindi avviare una riflessione attenta su come il mercato del lavoro di fatto restringa le donne in un recinto di povertà e marginalità e sulla necessità di potenziare i servizi pubblici di assistenza ai minori per garantire libero accesso al mondo del lavoro ad entrambi i genitori.

 

La crisi del COVID19 ha soprattutto messo in luce con grande tragicità ma con altrettanta chiarezza che la riapertura di tutte le attività produttive pone la questione della sicurezza sul lavoro. La normativa emanata dal governo, dalle regioni, dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’INAIL troppo spesso non è rispettata e le misure organizzative assunte al fine di contingentare la mobilità dei lavoratori e dei cittadini, attraverso direttive regionali e comunali, si scontra con l’insufficienza dei mezzi che dovrebbero garantire il distanziamento sociale. La fame di ripresa da parte di aziende e imprenditori non può essere pagata dai lavoratori in termini di salute né si può consentire il venir meno delle norme di sicurezza per aumentare gli introiti, come spesso succede nelle attività con apertura al pubblico. I continui tagli imposti dai vincoli di austerità e dalla spinta alla privatizzazione dei servizi avevano già prodotto un forte abbassamento dei livelli di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro. Condizione che ha contribuito all’aumento dell’insorgenza delle malattie professionali, oltre che il drammatico dato delle morti sul lavoro. La carenza di controllo derivante dal depotenziamento dei servizi ispettivi negli enti preposti alla vigilanza, impedisce di fatto la garanzia di un’attenta ricognizione sui cantieri e presso le ditte in appalto, esponendo lavoratori e utenti a rischi notevoli, senza che vi sia certezza del risarcimento del danno inflitto. Su questo è determinante che la Regione assuma, insieme ai Comuni, una funzione di vigilanza e di intervento nel verificare costantemente la situazione e procedere a intervenire con sanzioni e chiusura di quelle attività che mettono a rischio la salute dei lavoratori e, quindi, la salute pubblica. È necessario che venga istituita una legge che riconosca l’omicidio sul lavoro.

 

COSTITUIRE UNA IRI REGIONALE PER PROGRAMMARE E PIANIFICARE GLI INVESTIMENTI PUBBLICI

Soprattutto negli ultimi anni gli interventi degli Enti Regionali e Locali, volti a dare una parvenza di sostegno all’occupazione, sono stati spesso finalizzati all’erogazione di bonus e sostegni alle imprese che non ha portato alla creazione di nuova occupazione stabile. Gran parte degli incentivi sono solitamente destinati senza che gli Enti erogatori svolgano un ruolo di direzione e coordinamento, oltre che a stabilirne le finalità. Partendo quindi dal bisogno dell’azienda, non si è tenuto conto della struttura produttiva dei territori, cristallizzando le assunzioni alla sola domanda dell’impresa stessa.

Ogniqualvolta un’azienda decide di delocalizzare, esaurito il suo percorso di sfruttamento delle risorse locali e della manodopera, lascia dietro di sé un vuoto nell’economia locale, oltre che centinaia di disoccupati. Vincolare il riconoscimento degli incentivi ad un obbligo almeno decennale di permanenza nel territorio e all’assunzione dei disoccupati del bacino territoriale di pertinenza, rappresenterebbe un primo passo verso il contrasto alla disoccupazione.

 

Un attento monitoraggio dei territori, non solo permetterebbe alla Regione e ai Comuni di effettuare interventi preventivi, quindi prima che una eventuale crisi si consumi, ma si andrebbe ad invertire radicalmente la suddetta logica distorta tra domanda e offerta. La Regione, di concerto con gli Enti Locali, potrebbero quindi elaborare progetti di riqualificazione dei territori, nel rispetto delle risorse naturali disponibili e delle esigenze dei cittadini.

Per fare ciò è fondamentale che la Regione, a partire da una rimessa in discussione del dogma della continua riduzione del debito, si doti di uno strumento che svolga funzioni di programmazione e pianificazione degli investimenti pubblici attraverso la costituzione di una IRI regionale, che investa sui servizi pubblici e crei occupazione stabile attraverso una adeguata formazione e riqualificazione. Un Istituto a totale gestione pubblica potrebbe svolgere un ruolo diretto di intervento in tutti quei settori di interesse collettivo dove l’iniziativa privata non ritiene utile intervenire, affrontando sia la crisi occupazionale che questioni di grandissima urgenza: dissesto idrogeologico, salvaguardia del patrimonio ambientale e paesaggistico, riutilizzo del patrimonio immobiliare a fini di edilizia pubblica e popolare. Pensare che l’intervento in questi settori possa essere affidato, tramite incentivi, all’iniziativa privata significa continuare a disperdere risorse. Occorre piuttosto un intervento rapido, che affronti l’emergenza occupazionale con decisione, mettendo al lavoro decine di migliaia di persone su attività che sono essenziali anche per il rilancio dell’attività turistico-ricettiva.

 

Non si può pensare ad un vero e proprio rilancio dell’occupazione se non si investe nel potenziamento dei centri per l’impiego sui territori. Un piano strutturale che preveda percorsi formativi e riqualificativi degli inoccupati e dei disoccupati e la loro ricollocazione in quegli ambiti di maggior interesse, in base alle esigenze reali del territorio e non solo sull’onda di tendenze di mercato. Mai come ora, va elaborato e attuato tempestivamente un piano straordinario di rilancio occupazionale quanto più aderente al fabbisogno attualePer contrastare le numerose forme di precarietà e di sfruttamento, è necessario inoltre che la Regione imponga il superamento della precarietà attraverso un piano di stabilizzazione di tutti i contratti atipici. Anche per il lavoro agile, che verosimilmente verrà utilizzato come forma prevalente e continuativa di lavoro nei prossimi mesi, va definita una regolamentazione che con particolare riguardo tuteli il salario e la salute dei lavoratori interessati.

 

Questo quadro di stravolgimento del mondo del lavoro ha avuto effetti devastanti soprattutto sui servizi pubblici essenziali, per questo riteniamo che proprio a partire da questi servizi fondamentali per il benessere della cittadinanza, occorra praticare un drastico cambiamento.

 

INTRODURRE UNA MISURA DI SOSTEGNO AL REDDITO CHE INTEGRI GLI INTERVENTI INSUFFICIENTI DEL GOVERNO

Le misure di sostegno al reddito approvate dal governo in seguito all’emergenza Covid non coprono tanta parte del mondo del lavoro che vive di lavori saltuari, intermittenti e spesso al grigio. Molti degli ammortizzatori sociali arrivano (con grande ritardo) a coprire solo una percentuale esigua dei salari poiché i lavoratori non sono contrattualizzati in modo regolare. E’ urgente un intervento che integri tutte le misure di bonus per chi lavora nel turismo, nello spettacolo, nello sport e in tutte quelle attività che sono state con più evidenza colpite dal lockdown. Il Lazio è stata la Regione che ha pionieristicamente inaugurato nuovi strumenti di sostegno al reddito, con l’approvazione di una legge ad hoc purtroppo mai applicata efficacemente. E’ ora di rimettere mano a quello strumento, riadattandolo alle nuove condizioni che si sono create.

 

Come previsto dagli artt. 60-61 del Decreto Rilancio, la Regione deve mettere in campo le proprie risorse economiche per coprire il costo dei salari dei lavoratori dipendenti ed autonomi maggiormente in crisi. Prevedere altre forme di sostegno al reddito e all'occupazione attraverso anche l'istituzione di un reddito di emergenza regionale, oltre che forme di integrazione per i percettori di cassa integrazione o assegno di disoccupazione.

 

COMBATTERE IL LAVORO IRREGOLARE OVUNQUE SI MANIFESTI, A COMINCIARE DALLE CAMPAGNE

 

L’irregolarità del lavoro rende i lavoratori più vulnerabili, come l’emergenza sanitaria ha messo bene in evidenza. Per uscire dalla irregolarità non sono serviti fin ad oggi i tanti incentivi economici messi a disposizione delle imprese: una massa enorme di risorse pubbliche sprecate, mentre il fenomeno del lavoro nero e/o grigio dilaga. L’unica soluzione sta nel dare più diritti ai lavoratori, favorendo la possibilità di esercitare attraverso la sorveglianza attiva e l’azione conflittuale il riconoscimento di quanto gli spetta.

E tutto ciò a partire dalle campagne, dove dallo sfruttamento selvaggio spesso si sconfina nello schiavismo, con la complicità in alcuni casi, delle organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil.

In questa fase di “regolarizzazione” a metà la Regione può svolgere una funzione decisiva, favorendo la certificazione delle attività dei lavoratori, anche agendo di concerto con l’INPS, e l’Ispettorato del Lavoro,e contribuendo a combattere la piaga del lavoro nero, anche forzando interventi ad hoc nell’ambito dei Programmi di Sviluppo Rurale di competenza regionale. Nelle campagne ma anche nel turismo, nel commercio, nello sport, nello spettacolo e nelle tante attività dove il lavoro non è riconosciuto.

 

 

LA SANITA’: UN SISTEMA DA RIPENSARE E RIORGANIZZARE AL SERVIZIO DEI CITTADINI E NON DEL PROFITTO PRIVATO.

 

L’emergenza sanitaria nel nostro paese ha messo in evidenza quello che per anni abbiamo denunciato alle forze politiche che hanno governato la nostra regione. Lo smantellamento della medicina di base e territoriale, il taglio dei posti letto, la chiusura di interi reparti ospedalieri, il massiccio uso di lavoratori e lavoratrici in appalto e i finanziamenti cospicui alla sanità privata (finanziata anche dai lavoratori/trici perché inserita nei contratti nazionali del settore privato) in convenzione hanno portato alla luce un sistema sanitario malato e lontanissimo dai principi sociali che hanno contribuito alla sua nascita nel 1978. E’ necessario ripartire da quello che non ha funzionato durante l’emergenza e ricostruire passo dopo passo un servizio sanitario di qualità e accessibile a tutti/e.

In tutte le province della regione e in maniera generalizzata si registrano chiusure di ospedali, accorpamento di reparti e taglio di posti letto con standard pari solo a 2 posti letto per 1.000 abitanti! Oltre al dato strutturale c’è da mettere in evidenza l’avvicendamento continuo dei Direttori Sanitari frutto, in gran parte, di una deresponsabilizzazione dell’intero sistema organizzativo, autoreferenziale, chiuso alle istanze dei cittadini e incapace di orientare e motivare il sistema verso obiettivi di prevenzione e salute.

 

La medicina di base e con essa la figura del medico di famiglia, nella prima fase di emergenza avrebbero permesso il controllo degli accessi ai pronto soccorso e con tutta probabilità avrebbero contenuto i focolai iniziali che hanno portato al contagio di operatori e operatrici sanitarie e degli utenti. Al contrario, nei decenni passati la medicina di base è stata depotenziata e svilita e in prospettiva cancellata. Il medico di famiglia se supportato dal SSR e fornito dei giusti mezzi e degli strumenti necessari avrebbe potuto evitare che uno dei primi casi di contagio a Roma, avvenuti prima al PTV e poi al Gemelli, contagiasse centinaia di persone.

 

E’ fondamentale ristrutturare gli ambulatori territoriali proprio a sostegno della medicina di base. In questi anni sono stati chiusi, accorpati e svuotati favorendo la nascita nei quartieri dei laboratori di analisi privati in convenzione preferiti dagli utenti perché vicini alla propria abitazione, quasi allo stesso prezzo del ticket sanitario, rapidi e con file irrisorie. Cosa impensabile per le strutture ASL o ospedaliere rimaste operanti sui territorio. A causa della carenza di personale, sia sanitario che amministrativo, non riescono a gestire o gestiscono con estrema difficoltà la mole di popolazione che si rivolge ai presidi territoriali. Così nell’immaginario generale dei cittadini il servizio sanitario privato è più funzionale e rapido. Oggi dobbiamo dirci che “fortunatamente” è arrivato un virus che ha messo in discussione questo fenomeno di privatizzazione e che ci mostra che tutti possono curarsi se la sanità è pubblica. Proprio la recente istituzione degli USCAR (Unità Speciale di Continuità Assistenziale Regionale) è la presa d’atto del fallimento delle precedenti scelte e può segnare un primo passo verso la ristrutturazione e la funzionalità della medicina territoriale pubblica.  Crediamo che sia necessaria la strutturazione definitiva e non esclusivamente legata all’emergenza sanitaria e la messa a regime di questo nucleo operativo che garantirebbe una riqualificazione del territorio sul piano sanitario e una stabilizzazione di un gran numero di personale sanitario. Una strutturazione incardinata nei piani sociosanitari territoriali in stretta collaborazione con i municipi/comuni e con i servizi sociali anche al fine di evitare che si qualifichino come strutture autonome e quindi facilmente esternalizzabili alle solite cooperative di servizi.

 

Oggi si corre ai ripari cercando di sopperire alla carenza di personale sanitario con avvisi pubblici quando basterebbe stabilizzare, attraverso la LR 4/2017, gli OSS quasi esclusivamente esternalizzati nella regione; a stabilizzare gli autisti soccorritori che supportano tramite le cooperative il sistema emergenza e a procedere all’assunzione dei c.a. 7000 infermieri idonei. Un capitolo andrebbe aperto sul riconoscimento della professionalità della figura degli infermieri sia dal punto di vista normativo che remunerativo.

Si sopperisce alla carenza di posti letto e di terapia intensiva cooptando strutture della sanità privata convenzionata. Certo, nell’emergenza può anche essere tollerato, ma la strada a regime normale non può essere questa. Servono posti letto valutando la riapertura delle strutture pubbliche ancora idonee o comunque facilmente recuperabili ad intera gestione del SSR.

 

L’esempio della riapertura dell’ospedale di Genzano non può restare isolato e dovrà essere preservato dalla svendita al sistema privato/accreditato come cessione di ramo d’azienda. La gestione della sanità privata va ricondotta tra le funzioni primarie delle ASL territoriali e non dovrà più esistere la gestione sanitaria per delega. Il sistema accreditato deve possedere gli stessi requisiti del pubblico, non solo per capacità occupazionale e diritti in tema di sicurezza ma anche nell’ottica della gestione dei processi assistenziali e terapeutici. Se vogliamo che il servizio sanitario accreditato sia utile realmente alle necessità del sistema sanitario, non potranno più esistere margini di profitto legati a processi di finanziarizzazione pubblica se non attraverso la gestione diretta dei servizi. Basta con i soldi a pioggia alle convenzionate, anche a quelle camuffate da università privata o da centri di ricerca a carattere scientifico. Come accade in altri paesi europei, l’accreditato/convenzionato dovrà funzionare esclusivamente da collegamento, nel post acuzie e nella riabilitazione, tra il sistema ospedaliero ed il definitivo invio a domicilio dei pazienti, mentre nessun ruolo va delegato in forma accreditata/convenzionata ai percorsi di prevenzione e ricerca, da ricondurre ai sistemi sanitari universitari pubblici.

                                         PULIZIE E SANIFICAZIONE AMBIENTI SANITARI

Il processo di reinternalizzazione dei servizi più direttamente legati all’assistenza sanitaria è un elemento imprescindibile che deve caratterizzare le fasi di riorganizzazione del mondo sanitario legate all’emergenza covid19. Le pulizie (intese come atti di sanificazione e garanzia di igiene) sono un elemento caratterizzante il processo assistenziale diretto al paziente. Non è più ammissibile che le pulizie in ambito sanitario continuino ad essere oggetto di gare al ribasso, di appalti al miglior offerente, di tecniche ormai desuete, di scarsi o assenti controlli di verifica. La salubrità degli impianti sanitari deve tornare ad essere una componente attiva del processo assistenziale e le figure preposte a tale funzione devono avere un percorso formativo professionalizzante che metta loro nelle condizioni di intervenire in maniera adeguata nelle terapie intensive come nelle corsie ospedaliere, nelle sale operatorie come negli ambulatori.

E’ determinante che l’equipe sia in grado di assicurare tutte le procedure previste ed imprevedibili. In un sala operatoria o in un pronto soccorso non è possibile attendere la squadra di emergenza della ditta delle pulizie per ripristinare una sala rossa o l’avvicendarsi immediato di pazienti sul tavolo operatorio. Solo il personale dedicato in maniera specifica in questi ambiti di intervento può e deve sapere quando e come intervenire in maniera adeguata e tempestiva. Con l’esperienza vissuta durante la pandemia covid19 si è verificato che le procedure applicate nelle pulizie e nella  sanificazione hanno subito modifiche organizzative e procedurali diverse di giorno in giorno e le dinamiche messe in campo nei reparti covid19 hanno risentito pesantemente dei deficit organizzativi che sottintendono all’organizzazione del lavoro del personale delle ditte (orari, turni di lavoro, materiale delle pulizie, vestizione e vestizione etc.)

 

 

LA GESTIONE DEI RIFIUTI A ROMA E NEL LAZIO: RITORNO ALL’ANNO ZERO

 

Il 2020 si presenta come l’anno in cui la gestione dei rifiuti nel Lazio, e in particolare a Roma che produce circa il 60% dei rifiuti nella regione, imprime una inversione di tendenza drastica che azzera il modello adottato nell’ultimo decennio. Il nuovo Piano di Gestione dei Rifiuti (PGR) e la Legge di Stabilità 2020 della Regione Lazio delineano il nuovo percorso del ciclo dei rifiuti, meno virtuoso in termini di sostenibilità e impatto ambientale ma sicuramente più fruttuoso per il profitto di chi possiede gli impianti di trattamento.

 

Il nuovo PGR ha trovato il c.d. “uovo di colombo” per raggiungere l’obiettivo di portare la raccolta differenziata al 70% entro il 2025. Non si farà la raccolta differenziata ma si finanzieranno… “ i Comuni nei progetti di miglioramento della raccolta con un fondo di 57 milioni di euro per i prossimi 3 anni con cui realizzare isole ecologiche, impianti di compostaggio e di autocompostaggio” (quindi sparisce l’aggettivo differenziata per la raccolta). Si intende promuovere la realizzazione di impianti capaci di trasformare gran parte dei materiali della raccolta indifferenziata in nuova carta, plastiche, vetro, metalli e in biogas e biometano e materiali utilizzabili per il riuso a fini agricoli e per le costruzioni”.

 

La legge di stabilità completa il quadro con gli obiettivi di spesa sulla raccolta differenziata nel triennio 2020/21/22 che si dimezzano drasticamente rispetto al triennio precedente.

 

Nello scenario delineato dal nuovo PGR della Regione Lazio, un ruolo particolare lo assume Ama gestore del servizio d’igiene ambientale a Roma, che da sola produce il 58% dei rifiuti urbani del Lazio. Infatti, la nuova amministrazione aziendale guidata dal grillino Zaghis, con l’avvallo della Giunta Capitolina, sta riducendo significativamente il servizio del Porta a Porta e promuove il ritorno alla raccolta stradale, azzerando con un colpo di spugna i buoni propositi per un ciclo virtuoso dei rifiuti ma soprattutto vanificando tutti i sacrifici sopportati da sette anni dalla cittadinanza in termini di disservizi e dai lavoratori sottoposti a pesanti carichi di lavoro.

 

Sulla questione dei rifiuti nella Capitale, il fallimento della politica nazionale e locale è totale; dal Patto per Roma fra Governo, Regione e Comune nel 2012, passando per la chiusura di Malagrotta, fino all’avvio del PAP per una raccolta differenziata pulita, a monte del ciclo, per ridurre l’impatto ambientale delle emissioni nocive di impianti di trattamento a recupero energetico. Dal centrodestra al centrosinistra, le amministrazioni locali hanno alimentato negli anni passati la vocazione clientelare delle aziende partecipate romane e malgrado le promesse elettorali del M5S, la Giunta Raggi non è stata capace di liberare Ama dalla lobby del cassonetto stradale che rende il lavoro più semplice per un management incapace e per i sindacati complici e loro protettori, che tuttora rimpiangono i fasti delle abbuffate clientelari.

 

La raccolta differenziata spinta avrebbe dovuto essere supportata da un organizzazione del lavoro, da un parco mezzi e da un piano occupazionale adeguati, ma tutto ciò si è impantanato nella palude di tre bilanci non approvati e soprattutto nella mancata volontà di superare vincoli di bilancio asfissianti che non permettono di investire sui servizi pubblici. Finora nessun Piano Industriale è stato realizzato e la costante mancanza di risorse economiche ha spinto verso soluzioni tampone come la esternalizzazione dei servizi UND e la precarizzazione dei lavoratori impiegati negli appalti che ha generato l’aggravio dei disservizi, oppure l’aumento dei carichi di lavoro per gli operatori Ama già provati dall’età anagrafica avanzata.

 

Purtroppo il disastro Ama rientra in una strategia che da lungo tempo spinge verso gli interessi economici delle multiutility che prefigurano la via industriale più remunerativa del settore: il recupero energetico da rifiuti.

 

Già dal 2013 un decreto ministeriale, in applicazione della Direttiva 2009/28/CE in materia di promozione dell’energia da fonte rinnovabili, stanzia incentivi per circa 4,7 miliardi di euro destinati ad impianti nuovi (e a quelli esistenti riconvertiti) per la produzione di biometano e biocarburanti ottenuti da rifiuti, residui agricoli e alghe che entreranno in funzione entro il 2022. L’analisi sui dati di bilancio dei principali gestori industriali mostra che i ricavi per gli operatori con impianti, dal 2013 (dopo il decreto) al 2016 crescono del 6% arrivando a 3,5 miliardi di euro nel solo 2016, mentre ad oggi poco di questo dividendo è stato utilizzato per realizzare investimenti.

 

A fronte di tali appetiti, la tecnologia ha trovato soluzioni appropriate per superare la decisa opposizione sociale all’incenerimento dei rifiuti. Il nuovo PGR del Lazio individua le soluzioni:

  • Efficientamento dei nuovi TMB che dovrebbero massimizzare il recupero di CSS (Combustibile Solido Secondario) che potrà trovare impiego in impianti industriali esistenti (cementifici, ecc.);
  • Riconversione degli attuali termovalorizzatori di Colleferro e la realizzazione di un compound industriale da oltre 500.000 tonnellate annue, capace di ricevere e trattare i rifiuti urbani di Roma e nello specifico sia la frazione organica stabilizzata (FOS) sia gli scarti non combustibili prodotti dai TMB;
  • Produzione di biometano e carbone.

 

La realizzazione del compound è affidata a Lazio Ambiente, già gestore del termovalorizzatore e della discarica dismessi di Colleferro.  Il patron del progetto e presidente di Lazio Ambiente è lo stesso Daniele Fortini che subì la sonora bocciatura dagli organi di vigilanza ambientale e dai residenti contro la realizzazione dell’Ecodistretto di Rocca Cencia che prevedeva un biodigestore da 40.000 tonnellate annue di rifiuti.

 

La proposta di realizzare un mega impianto da 500.000 tonnellate annue in un territorio già vessato da impianti fortemente inquinanti significa continuare ad anteporre gli interessi economici degli operatori industriali alla salute pubblica e alla tutela dell’ambiente e del territorio.

 

Le scelte adottate dal nuovo PGR rappresentano la capitolazione di ogni aspirazione al ciclo virtuoso dei rifiuti e quindi alla riduzione, al riciclo e riuso. Tutti i tentativi di accordi con il sistema produttivo per la riduzione e la rimodulazione dei materiali con cui sono prodotti gli imballaggi sono rimasti lettera morta; agli investimenti per la raccolta domiciliare spinta e la differenziata pulita si è preferito la via breve e remunerativa (per pochi operatori) degli impianti di smaltimento e del recupero di energia. Il prezzo lo pagherà l’ambiente, il territorio e il cittadino in termini di emissioni nocive, rumori, odori e gestione di scarti e scorie residue.

 

TRASPORTI: INVESTIRE IN MEZZI E ASSUNZIONI

 

Il settore dei trasporti, con il drastico calo del turismo in Italia e nella Regione, rischia di essere nei prossimi mesi uno dei settori maggiormente in difficoltà. 

 

La Regione non può limitarsi ad emettere linee guida, sottraendosi dall’assumere un ruolo di coordinamento con gli Enti locali per una riorganizzazione del sistema del trasporto pubblico ed un potenziamento dello stanziamento dei fondi Regionali per garantire gli investimenti necessari ad incrementare il numero delle vetture e l'assunzione di nuovo personale.

 

Per favorire la facile fruizione dei mezzi di trasporto, garantendo la massima attenzione al divieto di assembramenti per tutta la fase di emergenza sanitaria, occorre una pianificazione che preveda il potenziamento della frequenza dei servizi collettivi, soprattutto nelle fasce di maggiore affluenza. Fondamentale inoltre rafforzare l’integrazione del trasporto pubblico non di linea, garantendone l’accessibilità attraverso incentivi economici agli utenti, sovvenzionati dalla Regione.

 

Il settore del trasporto aereo che nella regione ha rilievo importante in termini di lavoratori impiegati, oltre 40.000, sta scontando la crisi dell’emergenza sanitaria e determinando pesanti criticità in termini occupazionali. Un settore che ha già visto, negli ultimi anni, l’espulsione di decine di migliaia di lavoratori, la maggior parte senza possibilità di ricollocazione nonostante il crescente sviluppo delle infrastrutture aeroportuali che hanno continuato a portare profitti alla società di gestione  Aeroporti di Roma e a tutta la regione. Questi lavoratori sono rimasti senza sostegno e aiuti e la regione non è riuscita dare risposte per il ricollocamento di chi non raggiungeva i requisiti per la pensione. I programmi della regione di questi anni non sono arrivati  ad utilizzare le risorse per restituire dignità e lavoro alternativo se non in misura minima. Tutto questo, mentre il mercato del trasporto aereo continuava a crescere e a fare profitti con le multinazionali low cost che entravano nella piazza più deregolamentata d’Europa. Un pesante tributo è stato pagato dai precari, lavoratori che più fragili, che ogni volta sono stati i primi, in queste ristrutturazioni, ad essere messi in libertà o finendo in bacini senza alcuna prospettiva d’impiego stabile se non attraverso assunzioni part time imposte ed obbligate. Un lavoro povero per lavoratori sempre più poveri. Alla regione Lazio, che più volte ha tentato di costruire modalità per il recupero al lavoro chiediamo di intervenire immediatamente nella regolamentazione più stringente per evitare la disapplicazione delle clausole sociali e di provvedere subito al censimento di questi lavoratori disoccupati lavorando con le aziende per il reimpiego.

 

SCUOLA: PIÙ STRUTTURE PIÙ PERSONALE

 

L'emergenza legata alla pandemia ha messo in evidenza quanto siano carenti le strutture scolastiche. Anni e anni di investimenti risicati ed a risparmio hanno fatto sì che, anche nella regione Lazio, ci sia un grande problema legato allo stato di conservazione degli istituti e alla carenza di aule. Oggi pensiamo all'inizio del nuovo anno scolastico con grande preoccupazione. L'emergenza sanitaria costringe tutti a fare i conti con quanto diciamo da tempo: edifici fatiscenti e poco funzionali, aule piccole e sovraffollate, lavori di ristrutturazione subappaltati spesso a ditte poco competenti ed improvvisate. Risultato una situazione che non permetterà il rientro in sicurezza degli alunni, perché troppo spesso nelle scuole sono mancate proprio le ristrutturazioni minime, dalle finestre che non si aprono e non permetteranno il tanto necessario ricambio di aria, ai bagni fatiscenti che renderanno difficile l'igienizzazione. Di fronte a tutto questo la Regione Lazio pensa bene, nella legge di stabilità regionale 2020/2022 di fare uno stanziamento iniziale per il 2020 di 10.896.563,48 euro che serviranno giusto a mettere "una toppa" alle situazioni più disperate, e di stanziare, per il 2021 e per il 2022 ZERO euro. Una presa di posizione scandalosa vista la condizione in cui versano le scuole e viste le raccomandazioni del Comitato Tecnico scientifico che, insieme alla Protezione Civile, danno indicazioni per un maggiore utilizzo di tutti gli spazi, compresi giardini e palestre, degli istituti. Ma come utilizzarli se poi non ci sono gli stanziamenti per ripristinare spazi a volte lasciati abbandonati, vedi i giardini, e mettere in sicurezza gli altri? L'investimento non solo non è sufficiente, ma è offensivo verso le comunità scolastiche che aspettano risposte congrue per gestire la situazione emergenziale. Nuovi edifici scolastici nei quartieri nuovi e più popolati e ristrutturazione e manutenzione degli altri già esistenti unico modo per un rientro in sicurezza e per risolvere uno dei problemi endemici della scuola italiana. Ma per questo servono gli stanziamenti giusti.

 

L'intero sistema integrato 0/6, merita una profonda riflessione pedagogica e un cambio di abitudini, oseremmo dire di una rivoluzione socio-culturale. In primis deve essere rimodulato il rapporto numerico educatore/insegnante – bambini, rapporto che va mantenuto costante durante tutto l’arco della giornata e non più di media giornaliera (superamento Legge Polverini) oltre che ad un rinforzo degli organici. Da sempre come Usb, segnaliamo che il rapporto va diminuito e vanno contrastate le “classi pollaio”. Ed oggi più che mai, in piena pandemia, si può e si deve iniziare a ragionare su questo aspetto e investire sui servizi pubblici rivolti all'infanzia, tenendo conto della nuova urbanizzazione e di conseguenza di una nuova geolocalizzazione dei Nidi e delle Scuole dell'infanzia.

 

Si rende inoltre necessario, il ripristino dell’obbligo del certificato medico al rientro nei servizi dopo un'assenza di oltre 5 giorni e/o in caso di allontanamento da parte del personale educativo e scolastico inoltre, prevedere il reinserimento della figura del Pediatra nei servizi. I luoghi educativi rivolti all'infanzia devono essere ripensati e rimodulati, cercando di salvaguardare le qualità raggiunte e la tutela sul piano occupazionale, mettendo al centro il benessere e l'inclusione di tutte le bambine e i bambini, come indica il decreto 65/2017 (L.107/2015), la prevenzione e il delicato lavoro di cura e di relazione che ne è parte integrante.

 

E’ indispensabile la prosecuzione della discussione sull'approvazione di una nuova Legge sullo 0/6, dovrebbe prevedere la partecipazione di tutte le sigle sindacali che rappresentano le lavoratrici del settore inoltre, almeno il raggiungimento del 33% nei Nidi (33 posti ogni 100 bambini) e il 90% nelle scuole dell'infanzia (90 posti ogni 100 bambini) come ha ratificato il Consiglio europeo riunito a Barcellona nel 2002 obiettivo ancora non raggiunto nella Regione Lazio.

Intensificare la qualità e l'offerta dei servizi educativi e scolastici pubblici sul territorio regionale, con un'attenzione alle realtà più disagiate è fondamentale per una lotta nel contrastare attivamente la povertà educativa, culturale e sociale oltre che incentivo all' occupazione e all'istruzione femminile.

 

AGRICOLTURA E SFRUTTAMENTO

L’irregolarità del lavoro rende i lavoratori più vulnerabili, come l’emergenza sanitaria ha messo
bene in evidenza. Per uscire dalla irregolarità non sono serviti fin ad oggi i tanti incentivi economici
messi a disposizione delle imprese: una massa enorme di risorse pubbliche sprecate, mentre il fenomeno del lavoro nero e/o grigio dilaga. E tutto ciò a partire dalle campagne, dove un sistema di illegalità organizzata, spesso alla luce del sole, consente forme di sfruttamento selvaggio che spesso sconfina nello schiavismo. È evidente che un rafforzamento importante dei sistemi di controllo, su cui la Regione Lazio potrebbe intervenire,
favorendo la certificazione delle attività dei lavoratori, anche agendo di concerto con l’INPS, e l’Ispettorato del Lavoro, contribuirebbe a combattere la piaga del lavoro nero.In alcune parti del territorio regionale sono chiare ed evidenti tutte le componenti dello sfruttamento di lavoratori italiani e migranti. Giornate lavorative lunghissime e paghe orarie da fame, senza ferie, permessi e malattie. Il 50% delle aziende sottoposte a controlli sono fuori norma per motivi legati alla sicurezza e all’irregolarita’ contrattuale. Lavoro nero, infortuni e malattie professionali sono conseguenza diretta del clima di precarieta’ e sfruttamento che si vive sul luogo di lavoro. Nella Tuscia le denunce di infortunio incidono del 4% sulla media nazionale.
La Regione Lazio,in un periodo di riforma della PAC, aprendo un tavolo di confronto con TUTTE le forze sociali, dalle imprese ai sindacati, dai piccoli produttori alle associazioni di consumatori avrebbe la possibilità di intervenire su alcune misure del PSR, promuovendo  azioni di informazione/formazione per i lavoratori e sensibilizzazione dei consumatori, per lo sviluppo della produzione locale, per il rispetto dei diritti dei lavoratori, per l'abbattimento delle pratiche sleali da parte della GDO.
Va ripresa la politica di condizionalità sociale, sia dal punto di vista ambientale sia per ciò che riguarda il rispetto dei contratti di lavoro, condizionando i fondi PAC al rispetto delle leggi.

 

LA CRISI DEL COMMERCIO E DEL TURISMO

Il periodo di emergenza sanitaria ha investito il settore del terziario, commercio e turismo, con effetti che perdureranno nel tempo e che necessitano quindi di attenzione particolare in riferimento all’occupazione e agli strumenti che la Regione può mettere in atto per un intervento efficace.

La fase uno ha registrato le difficoltà enormi dei lavoratori della GDO e della logistica posti a lavorare senza il rispetto delle norme di sicurezza previste dai DPCM e dal Protocollo di sicurezza, senza che fosse predisposto in maniera organizzata e strutturale un controllo da parte degli enti preposti, tra cui la Regione Lazio che nel Testo unico del Commercio (legge regionale n.22 del 6 novembre 2019) all’art.36, prevede vigilanza e controllo del rispetto degli standard di sicurezza sul lavoro e la sospensione dell’attività in caso di riscontro delle violazioni.

Altrettanto importante è l’attivazione di una regolamentazione delle attività commerciali che possa prevedere un impiego dei lavoratori con orario ridotto senza che ciò possa comportare perdite salariali e, che contestualmente possa determinare un aumento dell’occupazione, attraverso l'utilizzo di forme di integrazione da parte di fondi regionali.  

E se da un lato la GDO ha registrato un incremento di fatturato durante l'emergenza, l'altra parte del commercio ha visto una chiusura delle attività e applicazione della cassa integrazione in deroga lasciando i lavoratori senza alcuna forma di sostentamento economico.

Per questo la perdita occupazionale che si registrerà, soprattutto nelle piccole e medie imprese, che rappresentano il maggior numero nella Regione Lazio, dovrà essere inserita nel piano di formazione, riqualificazione professionale e indirizzata nei settori che invece hanno registrato un incremento dei fatturati. Solo attraverso un piano predisposto dalla Regione questo sarà possibile per evitare di tagliare fuori lavoratori non ritenuti “appetibili” dalle aziende per età o competenze specifiche che altrimenti non troveranno un impiego.

Anche il settore del turismo è precipitato in una vera e propria crisi strutturale, la più drammatica della sua storia.  L'emergenza ha congelato da subito il settore e tutto il suo indotto, una filiera che rappresenta il 13% del PIL e vede impiegati su scala nazionale 4,2 milioni di lavoratori.

È evidente che per i lavoratori e lavoratrici del turismo occorra garantire forme di sostegno al reddito attraverso anche la rimodulazioni delle addizionali comunali e regionali e il rimborso degli anticipi già versati dai lavoratori a partita IVA, fino alla totale ripresa del settore.

Va inoltre previsto il divieto di licenziamento per tutta la fase di emergenza occupazionale.

DIGITALIZZAZIONE E INFORMATIZZAZIONE DEL LAVORO: DIRITTO ALLA CONTRATTAZIONE

Nel Lazio dove la presenza di pubblici dipendenti ed in particolare di lavoratori dei ministeri è rilevante, diventa necessario analizzare l'utilizzo dello smart-working. Se in fase di emergenza sanitaria è stato uno strumento utile per favore il distanziamento sociale, si registra una tendenza da parte delle amministrazioni e delle aziende ad utilizzarlo in sostituzione della presenza in sede, visto il vantaggio economico che rappresenta.  Di contro i lavoratori / lavoratrici hanno dovuto sostenere un aggravio delle spese delle utenze e in taluni casi delle strumentazioni e delle postazioni di lavoro, senza ricevere alcun rimborso economico per i disagi che hanno dovuto affrontare. Per questo lo “smart-working” deve essere regolamentato attraverso la contrattazione tra le parti sociali, per garantire la piena tutela del salario, la conciliazione dei tempi di lavoro con i tempi di vita, la salvaguardia della salute dei lavoratori. Fondamentale, inoltre, avviare un processo di reinternalizzazione di tutti i servizi e dei lavoratori appaltati al privato.

INVESTIRE SULL'EDILIZIA PUBBLICA

 

Emergenza COVID 19, vuol dire affrontare sia in emergenza sia in prospettiva tutto ciò che ruota intorno alla questione abitativa.

L'attuale emergenza sanitaria ha aggravato la già particolare emergenza abitativa che vive la regione, ha prodotto un ulteriore impoverimento generale degli abitanti con una immediata ricaduta su migliaia di famiglie, studenti e lavoratori che hanno notevoli difficoltà nel pagare utenze e affitti di locazione. Questa situazione emergenziale incide sui lavoratori in cassa integrazione che oltre a vedersi ridotto il reddito complessivo, vivono anche nell'incertezza sulle reali tempistiche di erogazione degli ammortizzatori sociali. Inoltre grava fortemente su lavoratori precari, intermittenti e in particolar modo sulle fasce giovanili e studentesche, da sempre impiegate in quell’area di lavoro “grigio” senza alcuna garanzia.

La legge 431/98, che regola i contratti di locazione ad uso abitativo, prevede che l'inquilino inadempiente al pagamento di due mensilità sia soggetto al procedimento di sfratto per morosità. Il governo con i vari decreti non ha affrontato questa emergenza, ma ha solo emanato il blocco dell'esecuzione degli sfratti per chi lo ha già esecutivo e prorogato il pagamento dei mutui. E non ha previsto il blocco del pagamento dei canoni d'affitto e delle utenze. Un’indagine di Nomisma ha rilevato che alla fine della fase 2 almeno il 40% delle famiglie in affitto si troverà in difficoltà a pagare i canoni e le utenze. Considerando le prerogative delle Regioni in materia di politiche abitative crediamo che siano necessarie immediate misure di emergenza che prevedano:

– Blocco degli affitti, del pagamento delle utenze e soluzioni abitative per tutti;

 – Un provvedimento specifico che impedisca di intimare sfratti per le morosità accumulate durante il periodo dell'emergenza sanitaria;

– La necessità di mettere a disposizione fondi straordinari per finanziare la politica abitativa pubblica a livello regionale. Siamo convinti che i soldi per il sostegno all’affitto non possano essere gli strumenti per affrontare la questione del caro affitti, neanche in condizioni normali. Riteniamo che gli interventi necessari debbano avere la forma dell’integrazione al reddito dei nuclei familiari, con una quota per l’affitto, e non debbano quindi essere un sostegno economico erogato direttamente ai proprietari di casa, misura che influisce in maniera negativa su quello che sarebbe il livello fisiologico dei canoni. Semmai occorrerebbe una misura, che non tocca certo a noi proporre, a tutela di quei piccoli proprietari che hanno come unico reddito quello derivante dall’abitazione locata. 

Prendendo dunque atto del pacchetto di misure 'Regione Vicina' del 3 aprile 2020, in particolare per quanto riguarda i contributi di sostegno agli affitti, dati gli stringenti vincoli di accesso a tali fondi, chiediamo che vengano ampliati i criteri per gli studenti ed i giovani fuori sede.

Finita l’emergenza:

  • Promuovere un’iniziativa per chiedere al Parlamento l’abrogazione della 431/98 per fermare il libero mercato degli alloggi, introducendo un canone equo per gli alloggi di civile abitazione; 
  • Un piano di ampliamento e miglioramento dell’edilizia residenziale pubblica;
  • Tassare con aliquote specifiche le forme di locazione inferiori ai 30 giorni (B&B), maggiorate rispetto a quelle previste per le locazioni di durata superiore e destinare le risorse all’incremento dell’offerta abitativa pubblica.

 

 

COSA DEVE FARE LA REGIONE LAZIO

La Regione ha un ruolo centrale in questa fase, sia sotto il profilo normativo che amministrativo ed economico, per scongiurare una stagione segnata dalla disoccupazione e dalla povertà.

  1. Deve realizzare un piano straordinario di rilancio della sanità pubblica, con interventi di riterritorializzazione del servizio, assunzioni a tempo pieno, internalizzazione dei servizi e dei lavoratori
  2. Dare vita ad un Istituto di rilancio industriale, una sorta di Nuova Iri regionale, che doti la regione di una politica industriale e metta a punto un Piano per l’occupazione fondato su: lotta al dissesto idrogeologico, rilancio dell’edilizia pubblica attraverso il riuso del patrimonio esistente, salvaguardia del territorio e del paesaggio
  3. Rafforzamento di tutti i servizi pubblici, dai trasporti al settore dell’igiene ambientale, dai lavori di cura alla scuola
  4. Introdurre un Reddito di emergenza regionale che integri le misure esistenti, chiaramente insufficienti soprattutto per tutti i settori di lavoro grigio, intermittenti, saltuari, atipici.
  5. Fermare gli sfratti e rilanciare una politica abitativa pubblica

 

Il primo obiettivo deve essere quello di ripartire dalle persone e dalla ripresa dell’economia pubblica. Dando più diritti alle persone, più dignità al lavoro e più spazio alla gestione collettiva si creeranno le condizioni per il rilancio.

 

Settembre 2020

 

Unione Sindacale di Base - Lazio