Ci stanno togliendo tutto, è ora di sciopero generale. Il 10 novembre corteo dal ministero dell'Economia allo Sviluppo Economico
Le ragioni per partecipare ad uno sciopero generale sono talmente tante che si fa fatica ad elencarle. E' certo però che il Ministro dell'Economia e quello per lo Sviluppo Economico incarnano la filosofia di questo governo in materia di politiche per il lavoro, cioè più soldi alle imprese, più soldi alle imprese, più soldi alle imprese.
Dopo il recente salvataggio delle banche a suon di decine di miliardi, con la Legge di Stabilità di quest'anno si procederà a finanziare il rinnovamento tecnologico delle imprese (il piano Industria 4.0) con più di 20 miliardi di euro, ai quali si aggiungono piani di defiscalizzazione e incentivi vari alle imprese. Anche i pochi spiccioli destinati all'occupazione vengono assorbiti dalle formule varie di bonus e sostegno alle imprese, senza mai prendere atto che ogni sostegno economico alle aziende si traduce in precarizzazione dei rapporti di lavoro e riduzione del personale attraverso l'introduzione di nuove tecnologie.
Ma, dice il governo, c'è la ripresa, gli strumenti messi in atto cominciano a dare i loro frutti!?
Forse ci sono segnali di ripresa per le aziende private grazie a questi continui esborsi di soldi pubblici a loro sostegno, ma sul fronte delle nostre condizioni di vita la ripresa non c'è. I poveri sono in aumento, comunque li si voglia calcolare. Le persone che perdono il posto di lavoro sono tantissime, e la quantità di crisi aziendali in discussione a MISE (quasi duecento) lo testimonia. Le aziende che forniscono servizi, dai trasporti all'energia ai rifiuti, sono in in cronico deficit di manodopera, ma vengono costrette ad una continua spending review. Tra i lavoratori pubblici i tagli ormai hanno ridotto all'osso il personale, tanto che la Ministra Madia ha timidamente annunciato l'esigenza di nuove assunzioni, mentre i rinnovi contrattuali prevedono pochi centesimi e quindi consacrano una perdita secca di salario. Nel settore privato la fetta di lavoratori a basso salario, ben sotto i mille euro annui, è ormai dilagante e sono tollerate se non incentivate anche forme schiavistiche di lavoro, con turni massacranti, nessuna protezione per la salute e crescente decontrattualizzazione. Aumentano il part time obbligatorio e la flessibilità selvaggia senza nessuna considerazione per le esigenze di vita delle persone. Ed anche gli strumenti di controllo, spesso mascherati da nuova tecnologia, rendono sempre più invasiva per ogni lavoratore la giornata di lavoro.
Anche la gestione delle grandi crisi aziendali, come Alitalia o ILVA, ci rimanda ad un progetto di società in cui ciò che conto sono soltanto il profitto aziendale e l'utile dell'azionista: settori strategici per il paese vengono svenduti, senza nessuna considerazione dei lavoratori ma anche senza un disegno complessivo.
Per Roma purtroppo la situazione non è diversa dal contesto nazionale. Il Tavolo recentemente convocato dal Ministro Calenda per affrontare la crisi della Capitale riproduce su scala locale la stessa logica con la quale si sta gestendo la crisi del paese: soldi alle imprese senza curarsi nè dell'impatto sull'occupazione nè dell'efficacia della manovra sul funzionamento della città. Invece di prendere atto che Roma è una città con la storica vocazione per i servizi e che è in questo campo che occorre produrre nuovi investimenti pubblici che migliorino la vita della città e favoriscano un rilancio effettivo dei posti di lavoro, si procede in direzione opposta. I servizi continuano a subire un continuo deperimento (basti pensare alla crisi di Atac e ai tantissimi lavoratori senza stipendio da mesi) mentre sul piano delle infrastrutture sociali (dalla casa al verde fino alle periferie) non sono previste che briciole.
venerdì ore 9,30 via XX settembre corteo dal Ministero dell'Economia al MISE
Unione Sindacale di Base