Centri commerciali, templi dello shopping o nuove fabbriche metropolitane?
La nostra analisi del settore e le testimonianze dei lavoratori delle multinazionali della GDO.
I centri commerciali hanno ridisegnato, in pochi anni, i costumi sociali, le condizioni di lavoro e la struttura architettonica della nostre città. Hanno di fatto sostituito le piazze attraverso le quali si connetteva il tessuto sociale di un quartiere disgregando le relazioni umane e la protezione sociale che una piazza favorisce. Nell’antica Grecia la piazza – Agorà - era il luogo simbolo della democrazia del paese, dove si riuniva l’assemblea della polis per discutere e prendere le decisioni politiche. I centri commerciali sostituiscono il senso delle piazze con una traduzione consumistica priva di qualsiasi scambio umano che non sia mediato dal denaro. Si tratta di autentici non luoghi dove i soggetti sociali si incontrano senza interagire, dove il prossimo è visto come colui che ti sottrae un parcheggio o ti scavalca nella fila alla cassa, dove vigono regole non scritte che trasformano questi ecomostri in strane “repubbliche” del consumo, video sorvegliate, transennate, con guardie private armate ad ogni angolo e dove ogni cittadino può ingannevolmente sentirsi , ricco, consumatore ma dove in realtà è prigioniero inconsapevole.
Un esempio, il più recente nella città di Roma, è EUROMA2, gigantesco centro commerciale edificato all’EUR nell’area del Castellaccio (una delle centralità urbane previste dal piano regolatore), sessanta ettari di terreno di proprietà del costruttore Parnasi. Il centro commerciale è solo una parte della pianificazione urbanistica di quest’area; nel 2003 il Comune di Roma ha assegnato il Castellaccio alla Parsitalia S.p.A. come compensazione edilizia del parco Volusia (nel parco Veio) e Pratone delle Valli a Montesacro. Il progetto urbanistico è il frutto avvelenato di un “accordo di programma” che porta la firma congiunta di Veltroni e Storace, allora rispettivamente sindaco di Roma e presidente della Regione Lazio. Il “Business Park” prevede inoltre, per un totale di 800 mila metri cubi, due grattacieli progettati dall’architetto Purini. Tra le due torri, una piazza sul modello della Défense di Parigi che dovrebbe ospitare sculture, ristoranti, bar e negozi. Infine 70 mila metri cubi di case private, verso Spinaceto. Ovviamente la società che ha realizzato Euroma2, Imef S.p.A., è sempre del gruppo Parnasi, mentre la gestione è affidata alla Scci, Sociètè del centres commerciaux Italia S.r.l. Qualche mese prima dell’inaugurazione la ex Presidente del Municipio XII, Patrizia Prestipino, annunciava il programma “Obiettivo occupazione”, un protocollo d’intesa che prevedeva le priorità d’assunzione per i disoccupati residenti nel Municipio XII: nel giro di pochi mesi, decine di esercizi commerciali hanno sospeso le attività per irregolarità nella gestione del personale.
Dietro questo proliferare di centri commerciali si nasconde spesso l’attività speculativa di grandi gruppi finanziari e la presunta infiltrazione del potere mafioso. La Corte dei Conti ha pubblicato una relazione dedicata alla criminalità organizzata che non ha avuto la dovuta rilevanza sui giornali e alla televisione. Tale relazione rileva che centri commerciali e case sono le nuove frontiere della mafia. Infatti, le attività economiche in cui la criminalità organizzata investe con maggior frequenza sono quelle “edilizie, immobiliari, commerciali e la grande distribuzione”. Il commercio, in particolare il franchising che coinvolge le grandi marche, consente alle organizzazioni criminali di procedere all’apertura di esercizi commerciali spesso a nome di soggetti terzi compiacenti non immediatamente riconducibili ad esponenti della criminalità. In questo modo, le mafie riescono a controllare l’intero processo che va dalla costruzione delle strutture al loro sfruttamento con la vendita dei beni, permettendo il riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite. L’infiltrazione della criminalità organizzata nell’attività edilizia e commerciale è favorita anche da una scorretta progettazione urbanistica che si fonda su un modello di sviluppo incontrollato. Frutto di questo genere di progettazione è anche il piano regolatore della nostra città che, ad esempio, per quello che riguarda le attività commerciali oltre a consentire già adesso l’edificazione di nuove strutture commerciali prevede che altre ampie aree possano essere utilizzate nello stesso modo.
Non di secondo piano è il problema del reddito: le grandi centrali di acquisto che riforniscono le catene della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) dovrebbero fungere da strumento di «razionalizzazione e programmazione delle forniture», in realtà sono un vero e proprio cartello dei prezzi che scarica i suoi effetti sul salario e sulle condizioni di lavoro (in tutto il ciclo dalla produzione, al trasporto fino alla distribuzione) e sui prezzi al consumo. A conferma di ciò l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha deciso di volerci vedere più chiaro sulla dinamica di formazione dei prezzi come sui rapporti e le condizioni contrattuali praticate dalle centrali di acquisto nei confronti delle imprese che forniscono i prodotti. Semplificando: la distorsione all’interno della filiera agro alimentare crea sperequazione e aberrazioni tangibili con un sicuro beneficio economico solo per le multinazionali, mentre gli agricoltori hanno visto diminuire i loro margini al punto tale che sempre più spesso non gli conviene più raccogliere ad esempio la frutta, dal momento che il costo del lavoro della sola raccolta è già superiore per unità di prodotto al prezzo pagato loro dalle centrali di acquisto; si sviluppano forme di caporalato che portano ai casi di Rosarno in Calabria o di Nardò in Puglia, dove migliaia di migranti sono resi schiavi negli agrumeti. Il risultato di questa filiera agroalimentare dominata dalla GDO è un prezzo di acquisto al consumo portato alle stelle, con ripercussioni sui cittadini che pagano l’ennesimo inaccettabile prezzo della crisi.
Altro problema rilevante è la completa deregolamentazione degli orari delle attività commerciali che non porterà alla crescita economica, ma solo all’inasprirsi di una crisi che già da diverso tempo sta affliggendo il commercio, aggiungendo un ennesimo tassello al puzzle di precarietà, basso salario, difficoltà nella vita di relazione e degli ormai pochissimi diritti per oltre due milioni lavoratori del settore. L’aumento delle grandi superfici commerciali sommato all’apertura ventiquattro ore al giorno e per tutto l’anno non sarà sostenibile per le piccole e medie imprese, che capitoleranno nei confronti della GDO e che l’innalzamento dei costi di gestione delle strutture sarà inevitabilmente scaricato sul costo del lavoro e sui consumatori, visto che gli altri costi (come l’energia, le merci, i trasporti), sono più o meno uguali per tutti. In sostanza a pagare saranno, come al solito, i lavoratori del settore e i cittadini in favore dei profitti delle grandi multinazionali del commercio e della lega delle cooperative che, come se non bastasse, puntano a fare ulteriore profitto non più solo sul lavoro, ma sul cliente finale, attraverso ad esempio le pesature di prodotti fatte dal cliente stesso o l’automatizzazione delle casse, che sottraggono ulteriori posti di lavoro.
La repressione del dissenso sindacale nei centri commerciali del terzo millennio ricalca quella del secolo scorso nelle fabbriche, ha la stessa natura violenta ma dispone di tecnologie di controllo evolute. L’organizzazione del lavoro rispecchia quella delle istituzioni totali (carceri, manicomi, caserme), passa cioè per l’organizzazione formale e centralmente amministrata del luogo e delle sue dinamiche interne ed il controllo operato dall’alto sui soggetti-membri.
Di seguito alcune testimonianze che completano la nostra analisi:
Lavoratrici Coop scrivono a Luciana Littizzetto nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne
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Chiara, precaria del Lazio, invia la sua lettera aperta: la bella addormentata alla coop
Intervista a Beatrice (nome di fantasia), cassiera Ipercoop in provincia di Torino
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Leroy Merlin: "Storia di una cassiera ferita"
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Carrefour, per le cassiere pipì solo ogni quattro ore
Il lavoro violato nella multinazionale Lidl
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Un caporeparto denuncia condizioni da medioevo
Lettera di un dipendente DOC* Roma (UNICOOP FIRENZE): "DOC* Roma: la vergogna di Unicoop Firenze"
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