Appalti: caporalato di massa, profitti e controllo sociale anziché lavoro pubblico
COMINCIAMO COL FARE UN PO' DI CHIAREZZA NELLA GIUNGLA DEGLI APPALTI
Capiamo la differenza tra l'appalto per la fornitura di “beni e servizi” e l'appalto per la sola fornitura dei servizi, ossia della manodopera.
Nel primo caso un imprenditore può ricorrere all'appalto di beni e servizi allorquando il servizio o i beni che gli occorrono non fanno parte del proprio ciclo produttivo e/o gli occorrono per un periodo limitato nel tempo.
Altra cosa è l'appalto per la fornitura di manodopera, al quale il datore di lavoro (pubblico o privato) può ricorrere per integrare la propria forza lavoro per periodi di tempo più o meno lunghi, o per professionalità non previste nel proprio ciclo produttivo, attingendo al lavoro in somministrazione.
GLI EFFETTI DELLE ESTERNALIZZAZIONI IN APPALTO
Contrariamente a quanto sopra e con la sola volontà di aggirare l'ostacolo normativo e legislativo, da decenni le Amministrazioni Pubbliche hanno superato il blocco delle assunzioni, ricorrendo agli appalti per reperire personale. Il risultato è stato un incremento medio della spesa pubblica del 15/20%, che non si è tradotta direttamente in un aumento dei salari per i lavoratori esternalizzati, ma in un incremento del profitto per le cooperative e ditte appaltatrici.
Tutto ciò è stato possibile modificando addirittura il titolo V della Costituzione e, negli anni modificando in peggio una serie di Leggi a tutela del Lavoro e dei lavoratori.
Agli stessi prenditori privati quindi, per garantire il massimo profitto praticando il massimo ribasso sulle condizioni economiche e di lavoro per i lavoratori, è stato praticato un keynesismo alla rovescia: le stazioni appaltanti pubbliche hanno permesso alle cooperative di svolgere un vero e proprio caporalato legalizzato di massa, compromettendo allo stesso tempo la qualità dei servizi erogati.
Con la completa omertà dei sindacati complici, non solo viene legalizzata la precarietà, non prevedendo la continuità delle prestazioni a scadenza di appalto, ma si lascia libero l'imprenditore di non applicare lo stesso contratto utilizzato dall'appaltatore, creando di fatto un dumping sociale che perdura da almeno vent'anni. Seppur sotto regime dei privati, si impone l'applicazione delle limitazioni del diritto di sciopero come per dipendenti pubblici. Lo stesso ricatto della sicurezza del lavoro impedisce ai lavoratori, in combinato disposto con le leggi contro lo sciopero, di prendere parola sulle proprie condizioni e di praticare il conflitto, se non in casi terribilmente disperati e sporadici.
In un passaggio dei Quaderni dal Carcere scritti negli anni 30 del secolo scorso, Gramsci ci evidenzia due presupposti senza i quali il neoliberismo non si afferma: 1. si impone per legge; 2. ha bisogno di sindacati consenzienti. Se osserviamo e analizziamo anche solo superficialmente la storia politica degli ultimi decenni, possiamo sicuramente confermare la giustezza dei due presupposti gramsciani.
Possiamo inoltre affermare senza ombra di dubbio che il sistema degli appalti ha dato vita ad un vero e proprio controllo sociale su migliaia di lavoratori, estendendolo finanche ai disoccupati, attraverso le nuove normative delle cosiddette politiche attive del lavoro, che altro non sono che ulteriori forme di sfruttamento di manodopera a basso costo. Basti pensare che anche laddove le agenzie interinali non riescano a ricollocare il disoccupato, ricevono ugualmente laute provvigioni dai fondi pubblici regionali mentre il disoccupato è ricattato con un minimo sussidio.
I VANTAGGI DELLA REINTERNALIZZAZIONE
L'assunzione diretta di tutto il personale oggi in appalto si rende ancor più necessaria in primis per il grave sottorganico in cui da oltre un decennio versano gran parte delle amministrazioni pubbliche, a causa del blocco delle assunzioni. Ristabilire congrui livelli occupazionali garantirebbe nell'immediato una riduzione della disoccupazione, una piaga sociale che sta assumendo connotati sproporzionati. Il netto risparmio dei costi pubblici, derivante dall'assunzione diretta, potrebbe garantire un reinvestimento nei servizi e conseguentemente un sensibile miglioramento della qualità delle prestazioni erogate. Garantire stabilità economica e continuità lavorativa permetterebbe una ripresa dell'economia locale, oltre che l'abbattimento delle disuguaglianze sociali, che oggigiorno stanno riducendo alla povertà gran parte dei lavoratori.
Si impone oggi più che mai la necessità di una netta inversione di marcia, che rivendichi la fine dello sfruttamento, della precarietà dei lavoratori e lo smantellamento dei beni e dei servizi pubblici. Contrastare attivamente tutti i tentativi governativi di delegittimare le forme di aggregazione e di dissenso, a partire dall'abolizione delle limitazioni imposte al diritto costituzionale dello sciopero.
Delegittimare tutte quelle Organizzazioni Sindacali che hanno tradito la fiducia dei lavoratori, vendendo a caro prezzo la loro pelle.
Riprendersi gli spazi di democrazia e di confronto sui luoghi di lavoro, per reagire ai ricatti padronali che quotidianamente vorrebbero ridurre nel silenzio i lavoratori.
Cambiare si può, cambiare si deve!
Unione Sindacale di Base