11 MARZO: E' L'ORA DELLO SCIOPERO GENERALE!

ai lavoratori, precari, disoccupati, utenti dei servizi e alle loro associazioni

Frosinone -

 

La fase politica e sociale che stiamo attraversando si colora ogni giorno di più di tinte fosche.

La crisi economica e sociale, nonostante le sirene rassicuratrici, continua a mordere con ferocia immutata e le politiche economiche messe in campo dall'Europa e da Tremonti, sono servite solo a salvare le banche attraverso un massiccio impiego di risorse pubbliche che ha fatto lievitare il già enorme debito pubblico.

La “seconda fase” che l'Unione Europea e Tremonti si apprestano a varare l'11 e 12 marzo è il piano di rientro di quello stesso debito, rientro operato, come nelle migliori tradizioni e nella storia di centocinquanta anni di crisi capitalistiche, attraverso ulteriori e drastici tagli alla spesa pubblica e dunque allo stato sociale, ai servizi pubblici e al pubblico impiego.

I lavoratori e i sempre più vasti strati della popolazione condotti sull'orizzonte della povertà si troveranno ad affrontare un ulteriore passo nella precarizzazione della loro esistenza, da una parte con la prosecuzione dello smantellamento delle tutele economiche, normative e previdenziali del lavoro e dall'altra attraverso lo smantellamento dei servizi pubblici e la mercificazione dl beni comuni con la riduzione dei diritti, come quello alla scuola, alla salute, alla mobilità, all'assistenza sociale, ridotti in bisogni da soddisfare come clienti sul mercato.

Se tutto questo è un processo che sembra avanzare inesorabile ormai da almeno due decenni, se nell'ultimo decennio è la stessa Banca d'Italia a calcolare in oltre 3.000 €uro l'anno l'impoverimento medio dei lavoratori dipendenti, la “Fabbrica Italia” di Marchionne, il “Collegato lavoro” passato senza colpo ferire in Parlamento, il blocco quadriennale degli stipendi dei pubblici dipendenti, lo scippo del salario accessorio degli stessi pubblici dipendenti operato, come ennesima tappa del suo virulento attacco, da Brunetta insieme a Cisl. Uil e Ugl col “patto” appena sottoscritto, il taglio orizzontale ed indiscriminato delle risorse destinate agli enti locali e dunque ai servizi ai cittadini, il cosiddetto “federalismo municipale” che comporterà ulteriori tagli, i tagli della Gelmini alla scuola pubblica e all'Università, i tagli alla Sanità, la privatizzazione dei servizi pubblici locali imposta dal decreto Ronchi che impone l'ingresso nelle aziende e la gestione dei privati entro il 31 dicembre 2011 (e solo per citare le principali) rappresentano un insostenibile salto nel baratro.

Di fronte a tutto questo le istituzioni e la politica, al di là di qualche dichiarazione strumentale e di maniera, nulla dicono e nulla fanno e tutto il dibattito politico e mediatico si avviluppa sulla nudità della satrapìa cui è stato ridotto un Paese privato – ammesso che ne sia mai stato dotato (la storia d'Italia è una sequela di scandali e ruberie dagli anni '60 dell''800!) - di un'etica pubblica come di un'etica privata.

La violenza dello scontro istituzionale, peraltro alimentata dall'ideologia pericolosamente eversiva del satrapo Berlusconi, unita alla concrete condizioni di sofferenza di vasti strati di una popolazione che non trova nella politica istituzionale la rappresentanza dei propri bisogni, rischia di precipitare il Paese in una crisi dagli esiti non preventivabili.

Non solo, la cosiddetta opposizione istituzionale e politica sulle questioni economiche, sociali e politiche nulla mostra ed ha da dire. Nel momento in cui Berlusconi, nel tentativo di uscire dal “cul de sac” in cui si è infilato e di ricompattare i referenti sociali del suo governo, Confindustria in primo luogo, lancia “la frustata all'economia” a partire dalla “Fabbrica Italia” di Marchionne, nessuna voce si è levata a contestarne il senso, la direzione e il verso.

Sul piano sindacale, mentre da una parte assistiamo alla compromissione irreversibile di Cisl e Uil alle logiche, alle pratiche e alle finalità governative e padronali, la Cgil, costretta oggi a confrontarsi con la questione della democrazia sindacale che per due decenni a contribuito a determinare in primo luogo a danno del sindacalismo di base, non si risolve a proclamare quello sciopero generale che pure la stessa Fiom invoca da mesi.

Di fronte a tutto questo, non è più eludibile e rinviabile una grande mobilitazione dal basso che sappia riconnettere le resistenze e le lotte che comunque in questi mesi percorrono il Paese.

E' questo il senso dello Sciopero Generale proclamato dalla Confederazione U.S.B. e da altre organizzazioni del sindacalismo di base per l'11 marzo: dare voce e spazio al disagio e alla domanda di giustizia sociale che si alza dal Paese reale, con l'obiettivo di riconnette le lotte sul posto di lavoro dei lavoratori e quelle dei cittadini, lavoratori anch'essi, per il diritto alla casa, alla salute, all'istruzione pubblica, ai servizi sociali, alla mobilità, ai servizi e all'assistenza sociale, alla cultura. Uno sciopero generale, in sostanza, che vuole essere generalizzato e che non è concepito come un punto d'arrivo ma come un passaggio, una tappa necessaria e indispensabile per costruire tra i lavoratori e tra i soggetti sociali colpiti dalle politiche economiche e sociali del governo, dell'Europa dei capitali e di tutti i poteri forti, l'opposizione sociale e di massa a queste politiche, per un'idea di società in cui il lavoro torni ad essere il valore fondante nella giustizia e nella solidarietà.

Se queste considerazioni sono valide in generale, assumono un particolare valore su un territorio, come quello della provincia di Frosinone, particolarmente colpito dagli effetti di una crisi che si vanno ad assommare al tracollo già conclamato di un modello di sviluppo palesemente fallimentare. Un modello di sviluppo che si lascia alle spalle una provincia in una pesante fase di deindustrializzazione, che agli scheletri dei capannoni industriali dismessi, accompagna un territorio inquinato e contaminato, un tessuto sociale degradato e corroso dall'intreccio perverso tra affari politica ed istituzioni.

Un territorio che nello stabilimento di Piedimonte San Germano ha la prossima tappa della strategia di Marchionne, con la sua liquidazione del Contratto nazionale di lavoro, la messa a profitto della stessa incolumità fisica dei lavoratori alla catena; “incatenati” cioè al totem di una produttività slegata da qualunque piano industriale, da qualunque investimento ed innovazione sul prodotto. Con la cancellazione delle RSU e di quella stessa democrazia truccata che, pur assicurando in barba al voto dei lavoratori una rendita di posizione a cgil, cisl e uil, ha consentito sino ad oggi ai lavoratori di imporre nelle trattative il loro punto di vista eleggendo i delegati del sindacalismo di base.

Un territorio in cui il ricorso alla Cassa Integrazione, anche massicciamente in deroga, segnala la gravità della crisi cui non vengono proposte risposte in termini di alternative economiche e produttive, ma solo la truffa dei corsi di riqualificazione, funzionali esclusivamente all'ingrasso dei corsifici. Una crisi per la quale dovranno essere affrontate le conseguenze della drastica riduzione per il 2011 dei finanziamenti a disposizione, riduzione che lascia ai lavoratori dell'industria come unica prospettiva l'alternativa tra la mobilità – per chi ce l'ha – e la generalizzazione della “modernità” del modello Marchionne.

Un territorio che, perduta ogni identità culturale e vocazione economica e sociale, si propone, con un velleitarismo inconsistente, come piattaforma logistica emblematicamente riassumibile nell'inesausto tentativo di far decollare, per i fini meramente speculativi delle imprese, della politica e delle istituzioni, il progetto dell'Aeroporto di Ferentino come terzo o quarto scalo del Lazio, nonostante l'inconsistenza sul piano dell'efficacia del progetto ed i serissimi problemi ambientali che si determinerebbero.

Un territorio che, perduta ogni identità culturale e vocazione economica e sociale, sembra pronto ad offrirsi come discarica della regione e non solo, con la mega discarica di Colfelice e le tre grandi linee di incenerimento di San Vittore nel Lazio, a poche centinaia di metri dal confine con la Campania. Con i tentativi di realizzare l'inceneritore per materiali speciali dentro lo stabilimento Ceat di Anagni e il progetto del più grande impianto d'Europa di smaltimento di amianto a Villa Santa Lucia.

Un territorio dove i tagli alla spesa sanitaria della Polverini si traducono immediatamente nello smantellamento della sanità pubblica con la negazione programmatica del diritto all'assistenza sanitaria dei cittadini e la perdita del lavoro di centinaia e centinaia di lavoratori del settore, in primo luogo precari. Dove, con il puro e semplice taglio di ospedali, reparti, posti letto, operato senza alcuna razionalizzazione o, almeno, riorganizzazione dell'esistente, è messa concretamente a rischio la vita stessa dei cittadini. I tagli infatti sono effettuati in assenza di un piano organico fondato sulla efficacia e l'efficienza, che per il servizio sanitario pubblico dovrebbero significare garantire ad ogni cittadino il diritto alla salute e alla migliore assistenza possibile. Nella sostanza la salute e la vita stessa dei cittadini vengono subordinati alle logiche di compatibilità economica di un sistema che si è pesantemente indebitato proprio per favorire quella sanità privata che, con la ritirata del pubblico, sulla salute e sulla vita dei cittadini farà mercato.

Dove i tagli alla scuola pubblica compromettono il diritto all'istruzione per i giovani cui viene negato il diritto stesso a programmare un futuro. Giovani a cui non si vogliono fornire gli strumenti per quella cultura che sola li può fare cittadini titolari di diritti; e a cui si vogliono fornire solo ”istruzioni per l'uso” utili a trasformarli in clienti docili ed acritici di un market mediatico in grado di dettare modelli, aspettative e consumi. Una scuola che nello spudorato richiamo al “merito” fatto da una classe politica che si seleziona col “bunga bunga”, nasconde la restaurazione del più feroce classismo che, negando alla grande massa della popolazione l'accesso ad un'istruzione di qualità, punta a selezionare da subito le future classi dirigenti dalle attuali classi dirigenti. Tagli alla scuola pubblica che producono ancora la perdita del lavoro per centinaia di lavoratrici e lavoratori, a partire dal personale che, precario, ha assicurato il servizio per anni ed anni, sia come docente, che come amministrativo , che come ausiliario. Tagli che mettono a rischio anche i posti dei dipendenti delle cooperative che eseguono le pulizie nelle scuole (oltre 600 in provincia di Frosinone) che rischiano il licenziamento al termine di questo anno scolastico e, nella migliore delle ipotesi, un aumento vertiginoso dei carichi di lavoro per chi resta al lavoro.

Dove la privatizzazione del servizio di pubblico trasporto, nelle ferrovie in primo luogo, se ha comportato una caduta verticale delle condizioni di lavoro dei lavoratori, a partire da quelle relative alla sicurezza sul lavoro, ha comportato anche un aumento esponenziale dei costi, in particolare degli abbonamenti dei pendolari, lavoratori e studenti, paragonabile solo al degrado del servizio che, alle condizioni indecenti dei vagoni, assomma l'incredibile circostanza per la quale i tempi di percorrenza dei treni locali regionali sono praticamente gli stessi di cinquant'anni fa.

Dove i tagli economici alle regioni e agli enti locali, unito al blocco del “turn over”, si traducono immediatamente e direttamente nella contrazione dei servizi erogati ai cittadini, dagli asili nido ai centri diurni per anziani, con particolare riferimento ai servizi sociali destinati alle fasce più deboli della popolazione (anziani, bambini, non autosufficienti, ecc.), il cui diritto all'assistenza è sempre più subordinato alle esigenze di bilancio e che, con l'introduzione di ticket sempre più onerosi, rischiano di essere derubricati da “cittadini” cui deve essere soddisfatto un diritto, in “clienti” che devono pagarsi il soddisfacimento di un bisogno. Con le lavoratrici e i lavoratori del settore che se lamentano inaccettabili ritardi (anche di sei mesi) nella liquidazione degli stipendi, dall'altra vedono ridursi le ore di lavoro se non viene addirittura messa in discussione la sua prosecuzione. Con il sistema degli appalti al massimo ribasso che molto spesso li fa cadere nelle mani di cooperative, nei fatti assolutamente estranee a qualunque logica di cooperazione, senza alcuna capacità economica e patrimoniale, fatto questo che fa sì che ogni disservizio o ritardo imputabile all'appaltante o all'appaltatore finisce per essere scaricato sulle spalle di chi lavora.

Dove la privatizzazione di un bene comune, come l'acqua, ha prodotto un drastico peggioramento della qualità del servizio, la drastica caduta degli investimenti e delle manutenzioni con il conseguente peggioramento della qualità dell'acqua erogata e l'aumento esponenziale delle interruzioni nell'erogazione, delle riduzioni del flusso e degli allagamenti per le rotture sia nelle rete di distribuzione che in quella fognaria. Dove i mancati interventi e la mancata manutenzione degli impianti di depurazione (è il gestore, nel 2008, a dire che solo poco più del 20% del territorio provinciale è servito da depuratori regolarmente funzionanti!) hanno avuto un ruolo non secondario nello stato di inquinamento dei corsi d'acqua della provincia e nelle condizioni della Valle del Sacco. Privatizzazione che ha prodotto un aumento esponenziale delle tariffe, tale da renderle insostenibili per le famiglie mono-reddito e per i pensionati e che sono state decise in palese violazione della normativa di riferimento, tanto da essere oggetto di un procedimento penale dinanzi al Tribunale di Frosinone che vede sia i vertici di allora della società che i vertici istituzionali in carica all'epoca cui pesa in capo la richiesta di rinvio a giudizio per truffa, abuso d'ufficio, distruzione di documenti e produzione di documenti falsi.

E da tutto questo che nasce l'appello rivolto a tutti, lavoratori, precari, disoccupati, studenti, utenti dei servizi e associazioni che li organizzano perché, tutti insieme, si faccia dello sciopero generale dell'11 marzo un primo momento di rilancio a tutto campo del conflitto sociale nel Paese, per riaffermare come irrinunciabili i diritti, la democrazia, i salari e la dignità di tutti e di ciascuno.

 

ESECUTIVO PROVINCIALE U.S.B